Noi pubblicisti, mio intervento manifesto a Consulta 2011

DINO FRAMBATI Paissan ha avuto il grande merito di far parlare dei pubblicisti (io sono alla terza legislatura) come mai se ne è parlato. E parlarne è già qualcosa, è già stato molto, perché in effetti prima non se ne parlava neppure. Poi mi corre l’obbligo di complimentarmi con il mio amico Ercole che ha, col suo stile che definirei audacemente tra Dante e D’Annunzio, detto delle cose molto belle. Mi è piaciuto il lato storico. Chiedo invece scusa a Scisci se c’è stato qualche problema con la mia segreteria e non gli abbiamo mandato i numeri. Non dipende da me, è successo qualcosa e ancora stamattina mi hanno chiamato e mi hanno detto di dirti che purtroppo non sono riusciti a mandarti questi numeri, ma se vuoi un po’ di numeri te li do io. Siamo circa 2000, 1200 sono i pubblicisti e 800 i professionisti, siamo in maggioranza, come siamo in maggioranza in Italia. Si dice che in democrazia la maggioranza vince, rivendicheremo la presidenza dell’Ordine, a questo punto. Io sono pubblicista per scelta e sono orgoglioso e felice di esserlo, non vedo alcuna contrapposizione con i professionisti con i quali, facendo molta cronaca nera, sono a strettissimo contatto. Nessuna contrapposizione, quindi, ma semmai c’è un lavoro parallelo. Soltanto che il problema del pubblicista è che l’informazione, organo portante della nostra democrazia nel Paese socialmente più avanzato in Europa (io queste cose le ho dette a San Francesco Da Sales di fronte al presidente della CEI, che è anche il mio arcivescovo trovando una qualche solidarietà), credo che il padre di tutte le battaglie sia il discorso che in una democrazia dove l’informazione è un perno, è essenziale, è indecente, immorale, osceno che la maggior parte dei pubblicisti viaggi con compensi dai 3 agli 8 euro per giornali nazionali. Vi faccio un esempio. Ieri sera ero in TV con una collega che per un giornale nazionale passa il pomeriggio in Consiglio Comunale (fa Consiglio comunale a Genova) prende 8 euro lordi e bisogna vedere se poi c’è la notizia. Perché se non c’è la notizia, arrivederci e grazie. Io stesso lavoro da almeno un quarto di secolo con i giornali nazionali, a volte passo il pomeriggio a rincorrere le notizie e poi faccio quindici righe. Siccome vale la quantità e non la qualità, mi ritrovo poi con pochi spiccioli. Per fortuna faccio l’imprenditore e ho l’azienda di famiglia, nella quale azienda oggi potrei dare, nonostante la crisi, lavoro ad una decina di persone, ma purtroppo darò lavoro a due o tre perché oggi il lavoro costa moltissimo. Ma se a me, imprenditore nel settore arredamento, fosse concesso di fare quello che possono fare per legge gli editori, potrei dare lavoro a moltissime persone. Perché cosa fa l’editore? Io che sono corrispondente dalla Liguria pur di giornali nazionali prendo un compenso sui pezzi usciti (lo sapete come funziona il meccanismo, no?), Se lo facessi con la donna delle pulizie o col trasportatore che mi fa le consegne sarebbe lavoro nero, con sanzioni di 20 mila euro. Sto dicendo delle cose che sono reali, pragmatiche, se poi parlo di palanche è casuale. Perché ascoltiamo Ezio Ercole che col suo eloquio forbito e la sua grande cultura ti dice cose bellissime, però poi bisogna anche essere pragmatici, e proprio con lui ne abbiamo parlato mille volte: o viviamo di rendita, oppure lavoriamo per mangiare. Per cui, per conto mio, ma credo che sia opinione condivisa perché me lo dicono quotidianamente colleghi che mi mandano mail, credo che se non risolviamo questo problema non si possa fare nulla e si rimanga in un empasse eterno. La prima cosa da fare è questa. Siamo sinceri, ma perché 1200 pubblicisti? Restiamo in 200/300. Se l’economia del giornale non si può permettere 100 collaboratori, se ne permetta 10 e li paghi decentemente (facciamo 30 euro a pezzo o 40). Perché voi provate un po’ ad andare da un avvocato o da un medico che sono protetti da Ordini professionali: ti dicono le ho applicato il minimo, sono le tabelle. E voi giornalisti? Io mi vergogno. Va beh, pensi pure che sono ricco e che guadagno tanto, perché c’è veramente da vergognarsi. Se non superiamo questo, non riusciremo mai ad uscire da questo empasse. E poi ricordiamoci che se non lavorassimo noi pubblicisti, probabilmente molti giornali chiuderebbero; anzi, forse siamo la forza e la spina dorsale dei giornali. Ecco, io ho un po’ d’orgoglio nel rivendicare tutto questo, però sento che nell’Ordine contiamo poco o nulla, nonostante lo sforzo, ribadisco, di Paissan, col quale ho avuto stretti contatti in questi anni e che effettivamente ha dato l’anima, ed oggi questa manifestazione è un esempio di come il parlare del pubblicista riesca a suscitare problemi e anche a risolverli. E’ stato ottimo il lavoro fatto anche da Scisci in questo tempo. Si dice del discorso della qualità, benissimo, il discorso della qualità è così fatto:l’imbianchino, il macellaio… Piuttosto io direi un’altra cosa. Provate ogni tanto a vedere quanti professionisti o pubblicisti, nostri colleghi, offrono spettacoli indecenti su trasmissioni sportive, pure nazionali. Credo che sia l’immagine più evidente, ma anche peggiore della nostra categoria. Lì veramente c’è da vergognarsi. Sono dottori in calcio, ma sono convinto che se li mandate al pronto soccorso a prendere quattro notizie di uno che si è ammazzato in vespa non sono capaci di farlo. E magari sono effettivamente professionisti! Allora, che fare? Direi che dobbiamo rivendicare un orgoglio forte e convinto di parità con i professionisti. Non credo nemmeno che siano i professionisti poi a frapporre dei problemi (aveva ragione chi ha parlato prima di me, che a volte sono gli editori proprio), però bisogna che l’Ordine faccia anche il sindacato in questo senso e risolva quel problema: meno giornalisti, ma quando si ingaggia una persona e la si fa lavorare, che sia la donna delle pulizie o sia il principe del foro degli avvocati, il lavoro va pagato. E’ una questione di giustizia sociale, di moralità, di decenza e di democrazia. Altrimenti, così facendo, rischiamo di minare le basi stesse della nostra democrazia. Perché una informazione dove uno può essere sbattuto fuori da un momento all’altro se litiga col capo redattore, dopo 20 anni che lavora in un giornale, non prende liquidazione e se è malato non guadagna, voi mi dite che informazione è? E’ per forza una informazione drogata. Grazie.